All’alba di domenica 2 dicembre 1962, all’età di settant’anni spirava nella sua casa di Milano, Anna Rosa Ferrario.

Era l’ultima a portare il nome dei Ferrario, una casata della ricca borghesia milanese che per generazioni era stata vivificata da famiglie numerose, ramificate e imparentate con altre famiglie importanti, finché un destino avverso ne tagliava metodicamente le nuove fioriture in tutti i suoi rami.

Al suo capezzale Rosa non potè avere il conforto di alcun parente, l’ultima ad andarsene fu la sorella Angelina morta vedova tre anni prima.

Insieme alla pietà per la morente, alle preghiere dei frati a lei cari, alla fedeltà dei suoi domestici, intorno a quel letto di morte non poteva mancare l’umana preoccupazione dell’esito di un ragguardevolissimo patrimonio che il destino aveva concentrato nella mani della signora Rosa: non solo quello dei Ferrario, ma anche di quello dei Gajo, dei Gattinoni, di un ramo dei Cassiani-Ingoni, e di altri ancora.

Ma Rosa Ferrario aveva già disposto; forse aveva messo a punto quel suo piano benefico negli anni in cui rimase sola, dopo la morte della sorella Angelina. 

Cosa sia avvenuto nel suo animo, quante volte abbia rivisto sullo schermo della mente le vicende liete e le tante vicende tristi della sua famiglia, come forse proprio queste le abbiano fatto maturare una certa idea circa le sue cose terrene…

Ci è impossibile saperlo, anzi lo vogliamo rispettare come suo personale segreto. Ma è il suo testamento a darcene una traccia precisa, un segno di quel colloquio silenzioso quando dice: “Invoco aiuti per poter interpretare la volontà dei miei cari trapassati e della mia adoratissima e santa sorella che per me fu vera e angelica mamma”. 

E questa frase precede immediatamente l’espressione della sua volontà di tradurre “tutto quello che possiedo” in un’opera di beneficenza.